mercoledì 30 aprile 2008

Ragazza irachena innamorata di un soldato inglese sgozzata dal padre

Rand che urla. Rand che fugge. Rand a terra. Rand con i due fratelli su di lei e la scarpa del padre orco sul collo. Una zampata che le toglie il fiato, le fa sputare aria e vita. Ma Abdel Qader Ali il padre belva non s’accontenta. Alza il piede, afferra un coltello, l’affonda nella figlia immobile, le sfigura il viso, le squarcia il seno, ne dissacra il pube, alza lo sguardo ferino esplode nell’ultimo osceno tripudio: «Ho lavato il disonore». Quella di Rand Abdel Qader non era neanche una vera relazione. Era un bozzolo d’amore, il sogno romantico di una diciassettenne irachena affascinata dagli occhi azzurri di un soldatino britannico. Erano chiacchiere morigerate nei minuti rubati agli sguardi dei passanti. Occhiate languide quando Paul le raccontava di Londra e dei suoi parchi. Sospiri quando era tempo di tornare all’università e al reggimento. Quel sogno è bastato a ucciderla, a trasformarla in un cadavere reietto sepolto sotto un velo di terra, coperto dagli sputi dei parenti arrivati a congratularsi con l’orco assassino. È successo a Bassora il 16 marzo scorso. L’orco è ancora libero. La polizia l’ha rimandato a casa due ore dopo. Lui è rientrato a testa alta, orgoglioso d’aver salvato la famiglia, di aver cancellato la vergogna di quell’amore per uno straniero infedele.


[…]


Fonte: il Giornale via uaar.it

Repubblica Teocratica Italiana

Da: Viva la costituzione

Si, lo so, un paio di utenti hanno detto che io scriverei nei post sempre le stesso cose (come se il fatto di ripeterle le rendesse false) ma, questa volta, mi limito a narrare la mia esperienza di voto del giorno 13 aprile, che si potrebbe riassumere in poche parole: "l'uomo che morde il cane".

Sono andato al mio seggio, che peraltro era senza fila. Sono entrato e con calma ghandiana e con la massima cortesia possibile, prima di votare, ho chiesto un colloquio personale con il presidente di seggio. Ottenuto il colloquio, ho fatto notare al presidente che nel seggio v'era un crocifisso che, oltre tutte le considerazioni personali possibili, è stato ritenuto fuori luogo dalla sentenza della Corte di Appello di Perugia del 10 aprile 2006 in quanto questa sostiene "l’opportunità che la sala destinata alle elezioni sia uno spazio assolutamente neutrale, privo quindi di simboli che possano, in qualsiasi modo, anche indirettamente e/o involontariamente, creare suggestioni o influenzare l’elettore" e la sentenza era stata redatta proprio in conseguenza ad un caso di crocifissi presenti nei seggi elettorali. Oltre a questa fonte, ho citato anche la sentenza 439/2000 della Corte di Cassazione, secondo cui le circolari fasciste del ministro Rocco del 1924 e del 1926, che prescrivevano la presenza del crocifisso nelle scuole elementari e medie, sono incompatibili con l'attuale assetto costituzionale (fra le varie cose non più basato sulla religione di stato) e da ritenersi tacitamente abrogate. Infine, ho citato anche la sentenza 203/1989 della Corte Costituzionale che (fra le varie cose) elegge la laicità a "principio supremo dell'ordinamento costituzionale", quindi anteponendolo anche ad altri principi quali il lavoro e l'uguaglianza perchè solo in un contesto laico gli altri diritti possono trovare accoglimento e possibilità di esplicazione.

Ho consegnato al presidente di seggio una copia di ognuna di queste fonti giuridiche e, essendo queste molto corpose (una decina di pagine ciascuna), stavo iniziando a riassumerne con calma e cortesia i contenuti quando sono stato fermato, dato che il presidente si è qualificato come un avvocato e quindi già a conoscenza della dottrina giurisprudenziale in materia. Nonostante le sue conoscenze in materia, però, ha preferito non rimuovere il crocifisso. A quel punto, nella più totale calma e tranquillità, prendo atto della risposta e chiedo che venga messa a verbale una breve dichiarazione in cui affermo che, nonostante le indicazioni delle chiare fonti giuridiche precedentemente citate, il presidente di seggio non ha accolto la mia richiesta. A questo punto il presidente di seggio si rifiuta anche di mettere a verbale la dichiarazione. Io gli faccio notare con la massima pacatezza che, ai sensi dell'art. 104 comma 5 del decreto del Presidente della Repubblica del 1957 (noto anche come regolamento per il seggio elettorale), il presidente è tenuto a verbalizzare dichiarazioni, pena la reclusione da 2 a 5 anni e una multa che va da 1.032,91 a 2.065,83 euro. A quel punto il presidente mi fa accomodare in un angolo del seggio dicendomi di attendere perchè stava chiamando la polizia: io ho atteso e, una volta giunta la polizia, ho citato quietamente quelle fonti giuridiche (consegnando anche a loro una copia), ho fatto presente che il presidente non voleva verbalizzare una mia dichiarazione ma ho anche esplicitato di non voler fermarmi troppo sulla questione perchè, avendo un treno improrogabile dopo solo mezz'ora, volevo votare in fretta. I poliziotti mi hanno accompagnato fuori dal seggio (non ho assolutamente fatto resistenza) e posto questioni del tipo:

"ci sono tanti problemi, perchè ti viene in mente una cosa del genere?",

"perchè lo fai?",

"l'Italia è un paese cattolico" e affini.

Io ho educatamente risposto alle diverse domande dicendo che rispettare la legge è un dovere civico, che se ci sono grandi problemi irrisolvibili non vuol dire che si debbano ignorare quelli "piccoli" e risolvibili, che l'Italia non è un paese cattolico ma laico e affini; in ultima istanza hanno detto che la questione del crocifisso compete ai responsabili di partito (???) (che però erano sparpagliati per la città e non erano reperibili) e ai "superiori" ma io ho risposto (con la massima volontà di chiarirmi) che, al di sopra di sentenze della Cassazione e della Corte Costituzionale, non c'è nessuno, al massimo ci sarebbe il re ma, non essendo più in monarchia, il caso non si pone. Dopo qualche minuto di dialogo pacatissimo e dai toni addirittura amichevoli, mi hanno detto di attendere lì perche volevano chiamare la Digos.
E' arrivato l'ispettore della Digos e ha esordito chiedendo cosa fosse accaduto, io ho rispiegato senza problemi il tutto nei minimi dettagli e senza considerazioni personali di sorta. Terminato il tutto, il dottore m'ha detto che:

"in Italia ci sono tanti problemi" e io ho risposto educatamente che se ci sono problemi grandi non vuol dire che quelli "piccoli" (anche se per me piccoli non sono, dato che si trattava di una liberta fondamentale) vadano ignorati/non risolti;

m'ha detto che "se vai negli Emirati Arabi e chiedi di togliere un Maometto ti tagliano la testa" e io ho risposto ancor più educatamente che spesso nell'ambito mediorientale la religione è compenetrata con la politica fino al punto che il peccato coincide con il reato, ma questo non è il caso dell'Italia che, invece, è uno stato laico per legge;

m'ha detto che "anche in Francia ci sono i crocifissi nelle scuole" e io ho risposto nella più totale tranquillità che la cosa mia sembra strana dato che il Francia vige la c.d. "legge del velo" secondo cui le donne non possono portare veli legati alla religione (qualunque religione), quindi figuriamoci se ci sono i crocifissi nelle aule scolastiche e, in qualunque caso, la Francia non è l'Italia, in cui vige una certa giurisprudenza;

dopo questa risposta m'ha detto che "quelle sono solo sentenze e non è legge", al che io ho fatto cortesemente notare che, se mi condannassero in via definitiva a 12 anni di carcere per omicidio, il parlamento non dovrebbe approvare una legge in cui c'è scritto "Ringo De Palma deve scontare 12 anni di carcere", ma la sentenza va applicata senza che nessun altro atto legislativo o meno debba essere prodotto; ho preso parola e gli ho detto che, se il presidente di seggio non vuole togliere il crocifisso, almeno verbalizzi la mia dichiarazione, dato che è tenuto a farlo e rischia quella pena carceriaria e pecuniaria di cui sopra. Cosa m'ha risposto l'ispettore?

"Se non vuole farti verbalizzare una dichiarazione tu lo denunci, fai un processo e avrai ragione", al che io "ma io non ho tempo per una denuncia o un processo, devo partire fra mezz'ora".

Dopo quest'ultimo scambio di battute, mi ha chiesto "dove studi?" e io "a Forlì" e lui "me lo immaginavo".

A questo punto, giocata la sua ultima carta e avendo io un treno che stava per partire e un voto da esprimere, ho dovuto "annullare" il tutto, dichiarando esplicitamente la mia intenzione di votare con o senza il crocifisso (sapete com'è, io credo nel valore anche del singolo voto), in un minuto ho ri-favorito i documenti, sono entrato il cabina, ho votato, depositato la scheda e sono fuggito verso Forlì. E' da notare che all'uscita dalla cabina, il presidente di seggio ha insistito perchè io mi riprendessi i fogli delle sentenze. Repulsione pura.
Diverse ore dopo la Digos ha telefonato al numero di casa della mia residenza e ha parlato con i miei genitori, descrivendomi (da quel che ho potuto capire) come una specie di terrorista cretino, oltre che attaccabrighe. Ho inoltre saputo di essere stato segnalato dalla stessa Digos per quello che avrei fatto. Sono un pò ignorante su queste cose, quindi ho cercato su Wikipedia e ho letto che "con la sigla DIGOS (acronimo di Divisione investigazioni generali e operazioni speciali) si indica una divisione operativa della Polizia di Stato [...]. Gli uffici della Digos svolgono attività investigativa ed informativa finalizzata a contrastare l'eversione dell'ordine democratico (attività antiterrorismo)".
Io punterei all' "eversione dell'ordine democratico"? Non fumo, non bevo, non gioco d'azzardo, non dò fuoco ai seggi elettorali, non compio blitz nelle prefetture e non ho mai preso parte nemmeno a occupazioni e, per quanto io ne sappia, la mia attività "eversiva" si limita al massimo a una decina di scioperi compiuti durante tutto l'arco delle scuole superiori e alla conoscenza di leggi che, puntualmente, vengono calpestate nell'indifferenza e nell'appiattimento di chi, invece, dovrebbe farle rispettare. Ho capito, e qui non nascondo una lieve punta di ironia, che la legge va rispettata ma, far rispettare la legge, è diventato un reato.
Spero solo che la segnalazione presso la Digos non mi impedisca di partecipare a concorsi in magistratura, dato che è un "sogno nel cassetto" che coltivo da un pò.


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P.S: uno dei tanti paradossi dell'accaduto è che l'ispettore della digos, invece di parlare con me di argomentazioni personali, avrebbe dovuto mettere sotto torchio il presidente di seggio: lui si che non ha rispettato la legge e ha, magari involontariamente, puntato all' "eversione dell'ordine democratico" (dato che si è rifiutato di mettere a verbale la dichiarazione).

Fonte: vivalacostituzione via uaar.it

sabato 26 aprile 2008

Padre Pio e il miracolo economico del turismo religioso: 100 mln l'anno

Fiorenti soprattutto il business degli articoli religiosi e quello dell'accoglienza dei fedeli



FOGGIA - È sicuramente collaterale alla forte religiosità e a una devozione ormai mondiale per Padre Pio ma certamente il Santo da Pietrelcina non ha solo acceso i riflettori su questo centro del Gargano, ma ha anche promosso un grande ospedale, la casa Sollievo della Sofferenza, tra i più moderni del Mezzogiorno, sorto nel 1956 e che oggi conta un migliaio di posti letto e 26 reparti. Ma S.Giovanni Rotondo è soprattutto una delle principali mete del turismo religioso. Quasi tutta l'economia della città ruota attorno alla figura di San Pio da Pietrelcina: dalle coroncine del rosario ai parcheggi per gli autobus.


CENTO MILIONI DI EURO ALL'ANNO - Un business da oltre cento milioni di euro ogni anno. Il più vistoso è certamente quello legato alla vendita di articoli religiosi sulle bancarelle. Moltissimi, infatti, i commercianti che sono diventati ricchi proprio vendendo per strada coroncine, calendari e immagini del santo. Business importante anche quello legato alle oltre 140 strutture di accoglienza per i fedeli. Un business che dà lavoro a circa quattromila persone solo a San Giovanni Rotondo, mentre sono tremila quelli dell'indotto. Numeri che fanno parlare di una sorta di miracolo economico se si pensa che nel territorio di San Giovanni Rotondo, in piena zona interna garganica, il tasso di disoccupazione è il 5% in meno della media regionale.


Fonte: corriere.it

giovedì 17 aprile 2008

Incitamento all'odio, BB rischia 2 mesi

PARIGI - Brigitte Bardot rischia due mesi di prigione con la condizionale e 15mila euro di multa: questo chiede la procura di Parigi nei confronti dell'attrice, accusata di incitamento all'odio verso la comunità musulmana. Il tribunale si pronuncerà il 3 giugno. Ecco i fatti. A dicembre 2006, BB, 73 anni, aveva scritto una lettera a Nicolas Sarkozy, allora ministro dell'Interno: chiedeva che gli animali uccisi dai musulmani in occasione dell'Aid el Kebir (festa del montone) fossero storditi prima di essere sgozzati. «Ne abbiamo abbastanza di essere presi in giro da tutta questa popolazione che ci distrugge - scriveva BB -, distrugge il nostro Paese, imponendo i suoi atti». Frasi che avevano provocato l'ira di alcune associazione antirazziste, come la Lega per i diritti umani e il Mrap (Movimento contro il razzismo e per l'amicizia fra i popoli). La Bardot, che da anni si batte per la difesa dei diritti degli animali, è stata condannata nel 2004 a 5mila euro di multa per dichiarazioni che incitano all'odio razziale nel suo libro intitolato «Un grido nel silenzio».

Fonte: corriere.it via uaar.it

La sposa bambina ottiene il divorzio

Nojoud, 8 anni, sorride, mangia una fetta di torta al cioccolato e stringe un grosso orso di peluche rosso. Festeggia il suo divorzio dal marito trentenne, deciso oggi da un giudice a Sana’a in Yemen. Nojoud Muhammed Nasser, la prima sposa bambina a chiedere il divorzio dal marito in un tribunale dello Yemen, ha vinto. È libera. Era fuggita dalla casa dello sposo il 2 aprile per presentarsi tutta sola in un tribunale della capitale. Aveva denunciato il padre, che l’ha costretta a sposarsi due mesi fa, e il marito che l’ha picchiata e forzata ad avere rapporti sessuali.


La legge in Yemen fissa i 15 anni come età minima per il matrimonio, ma non punisce le famiglie delle minorenni che le danno in spose prima di quell’età. Oggi a mezzogiorno il giudice Muhamed Al-Qadhi ha annunciato la sentenza. Ha stabilito che gli abusi del marito nei confronti di Nojoud e il fatto che non era ancora «matura» sono una ragione sufficiente per annullare il matrimonio. «Ogni volta che volevo giocare in cortile, mi picchiava e mi faceva andare con lui in camera da letto — aveva raccontato la bambina —. Quando lo imploravo di avere pietà, mi picchiava, mi schiaffeggiava e poi mi usava». L’annullamento su richiesta della donna, previsto dalla sharia e dalla legge yemenita (che si basa sulla prima), si chiama «khol’e». Prevede anche che la famiglia restituisca la somma pagata dal marito come dote per le nozze. Il giudice ha ordinato alla famiglia di restituire 100.000 rial (316 euro) all’uomo. «È stato possibile grazie ai soldi inviati da lettori commossi, soprattutto dagli Emirati Arabi Uniti», spiega il reporter Hamed Thabet dello Yemen Times, che per primo ha intervistato la bambina e che ha seguito la vicenda fino alla fine.


Il padre della bambina, Muhammed Nasser, si è detto pentito di averla data in sposa: ha detto di averlo fatto perché è povero e non aveva altra scelta. Non è stato incriminato. Il marito, Faez Ali Thamer, che era stato arrestato il 2 aprile su decisione dello stesso giudice, ha accettato i soldi e, dopo l’annullamento delle nozze, è stato liberato. «Cosa vuoi adesso, Nojoud?», le ha chiesto dopo la vittoria il reporter Thabet. «Vorrei studiare. Vorrei una torta e un grosso orso».


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Fonte: corriere.it

lunedì 14 aprile 2008

Il papa a Brindisi e Lecce: 250.000 euro dal governo

Presidenza del Consiglio dei Ministri. Ordinanza 26 marzo 2008, n. 3664: “Interventi conseguenti alla dichiarazione di «grande evento» in relazione alla visita pastorale del Papa Benedetto XVI a Brindisi e nel comune di Castrigliano del Capo in provincia di Lecce nei giorni 14 e 15 giugno 2008″. […] Agli oneri relativi all’attuazione della presente ordinanza si provvede nel limite di 250.000,00 euro a valere sul fondo della protezione civile che verra’ opportunamente integrato dal Ministero dell’economia e delle finanze, di cui 150.000,00 euro destinati al prefetto di Brindisi e 100.000,00 euro al prefetto di Lecce, a valere sul contributo regionale di cui alla legge regionale 4 marzo 2008, n. 3, nonche’ a valere su eventuali risorse finanziarie messe a disposizione da amministrazioni statali o enti pubblici. […]

Fonte: uaar.it

Germania, voto bipartisan sulle cellule staminali: meno limiti agli scienziati

Il governo tedesco ha approvato venerdì, a larga maggioranza e con il voto di parte dei cattolici, l’ammorbidimento delle restrizioni che limitano la ricerca sulle cellule staminali embrionali. Con chiamata nominale e senza vincolo di partito - perché scelte così importanti hanno bisogno del coraggio delle idee - 346 deputati hanno approvato lo slittamento del termine per l’importazione di cellule staminali embrionali dal 2002 al primo maggio del 2007. Contro la decisione hanno votato in 228.
In Germania è attualmente vietata la creazione di embrioni umani per la produzione di staminali. Ma è lecita l’importazione di linee cellulari da essi estratti a fini di ricerca. Fino a venerdì potevano essere importate solamente linee cellulari prelevate da embrioni creati prima del gennaio del 2002. Che oggi hanno però un potenziale residuo per la ricerca scientifica limitato, considerate le possibili contaminazioni di virus e cellule animali. Il Bundestag ha inoltre approvato una mozione che depenalizza la partecipazione di scienziati tedeschi a esperimenti, all’estero, vietati in Germania.
Tra i sostenitori del prolungamento la ministra per la ricerca scientifica crisitanodemocratica Annette Schavan. La Schavan aveva assicurato durante il dibattito in aula di voler tenere aperto un corridoio, seppur «stretto», per una ricerca coscienziosa. Soprattutto, ha specificato la ministra, le linee cellulari importate già esistono e non sono embrioni. Non tutti i cristianodemocratici la pensano come la ministra Schavan. La collega Maria Böhmer - autrice della legge del 2002 modificata venerdì, attualmente incaricata per l’integrazione - crede che la decisione presa rappresenti una rottura nella difesa dell’embrione, solo perché la scienza lo vuole: «Se una richiesta del mondo scientifico diviene il motivo per accordare uno slittamento del termine, nulla impedisce che la cosa si possa ripetere in futuro. Ci mettiamo su un crinale pericoloso». Eppure «gli scienziati hanno convinzioni etiche, come noi», ha specificato la Schavan venerdì per sgombrare il campo dall’idea che la ricerca sulle staminali sia solo una competizione “amorale” tra istituti di ricerca.


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L’articolo completo di Matteo Alviti è consultabile sul sito di Liberazione


Fonte: uaar.it

Yemen, sposa di 8 anni si ribella «Botte e abusi. Voglio il divorzio»

Tutta sola, avvolta in un’abaya nera, una bambina di 8 anni si è presentata il 2 aprile a un tribunale di Sana’a, la capitale dello Yemen, per chiedere il divorzio dal marito. Nojoud Muhammed Nasser ha denunciato il padre, che due mesi fa l’ha data in moglie a un uomo di 30 anni, e il marito, che l’ha picchiata e costretta ad avere rapporti sessuali. «Ogni volta che volevo giocare in cortile, mi picchiava e mi faceva andare con lui in camera da letto— ha raccontato —. Era molto duro con me e quando lo imploravo di avere pietà, mi picchiava, mi schiaffeggiava e poi mi usava. Voglio avere una vita rispettabile e divorziare».


È la prima volta che una minore chiede il divorzio in Yemen. La legge non la protegge. Moltissime bambine vengono date in spose all’età di Nojoud in Yemen (oltre il 50% secondo uno studio del 2006). La legge fissa l’età minima per il matrimonio a 15 anni, per maschi e femmine, ma non punisce chi la viola, dice l’avvocato della Corte suprema Shatha Muhammed Nasser, che ha assunto la difesa della bimba e le ha trovato un posto in un orfanotrofio. All’uscita del tribunale, col sorriso teso ma lo sguardo deciso, Nojoud ha raccontato la sua storia al giornalista Hamed Thabet, 23 anni, dello Yemen Times. «Mio padre mi ha picchiato e mi ha detto che dovevo sposare quest’uomo. Lui mi ha fatto brutte cose, io non avevo idea di cosa fosse il matrimonio. Correvo da una stanza all’altra per sfuggirgli, ma alla finemi prendeva, mi picchiava e poi continuava a fare ciò che voleva. Ho pianto così tanto, ma nessuno mi ascoltava. Ho supplicato mia madre, mio padre, mia zia di aiutarmi a divorziare. Mi hanno risposto: "Non possiamo fare niente. Se vuoi, vai in tribunale da sola". Ed è quello che ho fatto». Dice Thabet al telefono da Sana’a: «Era così dolce e così triste. È una donna sposata, che capisce tante cose e allo stesso tempo una bambina che vuole studiare e giocare».


Anche il giudice Muhammad al-Qadhi si è impietosito: pur essendo Nojoud troppo giovane per testimoniare, ha fatto arrestare il padre, Muhammed Nasser, e il marito, Faez Ali Thamer. L’avvocatessa Nasser sostiene che il matrimonio era illegale. Altri non ne sono certi: «A nessuno frega della legge, quello che conta è il sistema tribale», dice il giornalista Thabet. «Specialmente nelle zone rurali, i genitori danno le figlie in spose all’età di 7, 8 o 9 anni — spiega Amal Basha, direttrice di un gruppo per i diritti delle donne, Sisters Arab Forum for Human Rights —. Pongono la condizione che il marito non abbia contatto sessuale con la moglie finché non è matura. Ma vive con lui e non c’è alcun controllo: è alla mercé del marito e del suo desiderio». Divorziare per Nojoud non sarà facile, aggiunge. «Non è un’adulta, quindi prevale ciò che dice il suo guardiano».


Fonte: corriere.it

sabato 12 aprile 2008

Evidence that God = Spaghetti Monster!

Laici trentini: "Scarsa laicità per futuri eletti"

TRENTO - La laicità non è una caratteristica del politico diretto a Roma: è quanto afferma il Comitato dei laici trentini, in base alle risposte a un questionario, ottenute da una ventina dei candidati locali alle elezioni politiche di domenica e lunedì. È quanto si legge in un comunicato del comitato stesso. "Se l'indice medio rilevato - informa il comitato - è 76 su una scala di 100, i candidati che quasi certamente verranno eletti sono tutti sotto. La laicità si trova di più nel centrosinistra - si legge in una nota - e quasi per niente nel centrodestra, ma è forte solo nelle seconde file". Analizzando la classifica della laicità fornita dal comitato, "si collocano al primo posto pari-merito Sara Ferrari e Sigmund Kripp, con 97, mentre il meno laico di tutti è Giacomo Santini con 24, al 19/o posto. In nona posizione c'è Luisa Gnecchi con 82, in 12/a Laura Froner con 74, in 13/a Mauro Betta con 71, al 15/o posto Gianclaudio Bressa con 65. Punti bassi in generale sulla questione 8 per mille". Nel complesso gli invii effettuati sono stati circa 40, contattando tutte le segreterie dei partiti in Trentino. Non hanno risposto i candidati di An e Lega. La classifica generale, coi rispettivi punti è la seguente: Ferrari 97, Kripp 97, S. Riedmiller 96, Catalano 94, Casanova 93, Resch 89, Spini 89, Firmani 84, Gnecchi 82, Zoller 80, Resch 80, Froner 74, Betta 71, Giuliani F. 69, Bressa 65, Tomasini 50, Seppi 37, Gottardi 33 e Santini 24. (ANSA).

Fonte: laicitrentini.it via ladige.it

venerdì 11 aprile 2008

Benedetta salute mentale

Il 31/3 è stato inaugurato in via Toti (Veronetta) un nuovo centro di salute mentale. La tempestività, a 30 anni dalla legge Basaglia, è sempre da apprezzare. Meno da apprezzare è la composizione del team degli inauguranti. Comprendiamo la presenza di sindaco, di assessori, di primari e di altre figure che hanno una qualche relazione con la struttura. Non comprendiamo, invece, l’invito al vescovo Zenti e non agli esponenti di confessioni religiose o dell’associazione degli atei. Zenti ha officiato il rito scaramantico della benedizione, ma prima ha voluto dire le consuete banalità: la società moderna «corre troppo in fretta e che non tutti possono tenere il ritmo dei più efficienti e dei più abili» e che «non tutti hanno il motore di una Ferrari». Non ha ricordato, però, le radici cristiane dell’insediamento del diavolo nel cervello di alcuni sventurati e la recente nomina di dieci preti esorcisti da lui fatta come contributo della fede alla salute mentale.

Dalla Newsletter del Circolo UAAR di Verona (verona@uaar.it)

Fonte: uaar.it

giovedì 10 aprile 2008

Setta in una grotta da cinque mesi "Il mondo finirà". Morte due donne

Da cinque mesi sono chiusi in una grotta a Penza nella Russia centrale, qualche centinaio di chilometri da Mosca. Attendono la fine del mondo prevista per il 27 aprile, giorno della Pasqua ortodossa. Sono barricati in un cunicolo freddo e buio insieme ai loro figli, indottrinati da un santone che si fa chiamare svjatoj Pjotr, nuovo san Pietro. E che ha scelto di restare in superficie. Erano in 29 all’inizio dell’avventura, poi un gruppetto è riemerso terrorizzato, più che dalla fine del mondo, dalle frane che sono seguite all’inizio del disgelo. Ieri uno dei membri della setta millenaristica che ha preferito uscire dal rifugio, ha riferito che due donne sono morte durante il ritiro. “Tamara è morta di cancro; l’altra fedele, una donna bielorussa, è crollata durante il digiuno. Le abbiamo sepolte nella grotta”. Nel rifugio restano in undici: alcuni di questi sono bambini. […]

Fonte: repubblica.it via uaar.it

Le palestinesi che abortiscono in Israele

S. è tornata a casa e ha radunato i suoi bambini per un gioco: “Saltatemi sulla pancia”. Cinque figli fuori, uno dentro. Quello che non vuole perché è arrivato troppo presto, perché la famiglia già così non ce la fa. S. ha deciso da sola, quando si è scoperta di nuovo incinta, “11-12 settimane” le ha comunicato il dottore.

Non ha potuto parlarne con il marito, con la madre o una sorella, non ha potuto parlarne con nessuno. Ha preso la decisione da sola e da sola ci ha provato. Si è buttata da un muretto cadendo sul ventre, ci ha messo sopra una bombola del gas. Ha cominciato a sanguinare, è stata ricoverata, ha perso il bambino.
“L’ aborto tra i palestinesi è un tabù religioso e un crimine, viene permesso solo se la donna è in pericolo di vita. Eppure succede ogni giorno, spiegano le volontarie di un centro a Ramallah . Illegali, rischiosi, dannosi per la salute”. Costosi. Un medico può chiedere 5.000 shekel (quasi 900 euro), nel prezzo c’è l’incognita del carcere. “Se la donna non è sposata, la richiesta sale. E¹ ricattabile, deve mantenere il segreto”.

A. ha pagato 400 dollari. Quattro anni fa è rimasta incinta di un uomo che non era suo marito e a Gaza può essere una condanna a morte. “Ero terrorizzata che i miei fratelli lo scoprissero e mi ammazzassero”, racconta. “Ho chiesto al ragazzo di cercare un dottore, è stato quasi impossibile trovare qualcuno che accettasse”. Nella Striscia, il mercato è ancora più sotterraneo. I medici negano che gli aborti clandestini vengano praticati. “Se ne parlo, quelli di Hamas mi uccidono”, dice un ginecologo. “Fino al 2005 spiega un altro era più semplice eseguire queste operazioni. Dopo che Hamas ha preso il controllo, i miliziani hanno dato la caccia ai dottori, sapevano chi era pronto a farsi pagare”. Ancora oggi nessuno ha scoperto dell¹aborto di A., ancora oggi, lei ha paura che qualcuno lo scopra.

Il 40% su 333 donne intervistate nei campi rifugiati in Cisgiordania ha ammesso di avere abortito almeno una volta, il 54,4% secondo l’indagine della Palestinian Family Planning and Protection Association è venuta a sapere di altre che l’hanno fatto. “E’ un fenomeno nascosto, commenta il sociologo Barnard Sabila, che sta crescendo. I palestinesi se ne rendono conto, non ne vogliono parlare”. La Palestinian Family Planning Association è riuscita a ottenere dal muftì di Betlemme una fatwa che permetta la pillola del giorno dopo, ancora controversa per molti religiosi musulmani. “Nella nostra società, continua Sabila, la donna regge l’onore della famiglia, non l’uomo. Se una figlia perde la verginità o resta incinta senza un marito, la madre viene considerata responsabile quanto lei”.
Maha Abu Dayyeh-Shamas sorride quando le chiedono se la sua organizzazione è pro-scelta. “Non mi posso permettere il dibattito ideologico. I casi che affrontiamo non sono una questione di diritto a decidere. E’ una questione di vita e di morte. Della donna. Un aborto illegale può metterla in pericolo, continuare la gravidanza anche. Chi cerca il nostro aiuto rischia di venire uccisa dai parenti, per cancellare l’onta di una relazione fuori dal matrimonio”.
Gli uffici del Women’s Centre a Ramallah fanno da consultorio, offrono assistenza medica e legale. Qui nessuno suggerisce di abortire o spinge per la decisione, una denuncia porterebbe all’incriminazione. Le donne vengono messe in guardia contro le pratiche illegali, ricevono informazioni sulla contraccezione e la pianificazione familiare, consentite dalla legge islamica. “Le ricche possono sempre trovare una soluzione e andarsene in Libano, come fanno nella maggior parte dei Paesi arabi”, spiega Maha.
Le altre provano in un ospedale israeliano, dove l’interruzione è consentita e spesso gratuita. Uno dei 41 comitati nel Paese decide se il caso rientri tra quelli previsti da una legge del 1977. “Quando la gravidanza è il risultato di violenza, di un incesto o c’è il pericolo di un delitto d’onore, continua, il via libera viene dato sempre”. Il suo gruppo sta facendo pressioni sui deputati palestinesi perché modifichino la bozza di una norma preparata dal Parlamento. “Le pene previste per gli interventi clandestini sono fino a dieci anni. Però legalizza l’aborto dopo un incesto e noi vorremmo che contemplasse anche lo stupro”. Con una mano allontana dagli occhi il fumo del tè e lo sguardo triste: “Devo rassegnarmi all’idea di non poter salvare tutte le donne. Le vittime ci saranno”.

Fonte: uaar.it

martedì 8 aprile 2008

Una Corte olandese rifiuta di censurare Fitna

Nelle ultime settimane, qui in Olanda, è (ri) scoppiato il caso Fitna.

Il film - promosso da un membro del Parlamento - è decisamente controverso, tanto che il governo olandese ne ha subito preso le distanze. Immediate le reazioni del mondo Isalmico con tanto di marce di protesta e fatwa per la censura immediata (sia del film che del regista).

E' di ieri la notizia che nonostante la richiesta in tribunale da parte di una associazione che rappresenta i Musulmani Olandesi il film non verrà censurato.
La motivazione della Corte è stata che la libertà di espressione garantisce al regista il diritto di criticare l'Islam radicale e i passaggi del Corano.

Ora si temono ripercussioni e, visti i precedenti, il clima è abbastanza teso.

Nel fine settimana spero di riuscire a vederlo con un'amica musulmana, vedrò di postare
qualche rilfessione.
Nel mentre, credo che per un po' non andrò a fare la spesa al quartiere Arabo.

Intervista a Ayaan Hirsi Ali su islam e illuminismo

[…]


Ma l’equazione fra Islam e oppressione delle donne non è azzardata?
«Nella teologia islamica la donna è soltanto corpo. Si dice che non ha né cervello né anima. Siamo solo corpo. In Submission era fondamentale mostrare su un corpo femminile quei versetti del Corano che dicono che un marito può picchiare la moglie, perché sono loro a giustificare la prigionia, la repressione, la violenza. Molti musulmani si sono offesi perché trovano quel testo che dice “picchiala” più sacro di un corpo di donna».


Avrà un seguito, quel film di appena undici minuti?
«Penso che girerò un sequel, ho sempre voluto farlo e lo farò. Ma devo essere molto cauta, perché voglio denunciare le ingiustizie compiute nel nome della religione, in questo caso nel nome dell’Islam, ma non voglio che la gente venga uccisa».


Lei si considera una «dissidente» dell’Islam, che ha paragonato al fascismo e al comunismo.
«L’Islam ha una componente religiosa, che rispetto, ma ne ha anche una politica e ideologica che eleva la collettività al di sopra dell’individuo: è questa che io combatto. Nei paesi islamici dopo l’introduzione dell’Islam molte caratteristiche tribali sono state elevate a dogmi religiosi. E nell’Islam anche oggi politica e religione non sono separate. Ma attenzione, non sto dicendo che l’Islam non può cambiare, che non possa nascere un Voltaire islamico. Se fosse un problema di razza, allora spetterebbe a un rappresentante della razza oppressa alzarsi, come Mandela con l’apartheid, e dire che la riconciliazione è possibile. È quello che sta facendo Barack Obama. Nel caso dell’Islam, dovranno essere le donne, perché nessun gruppo è oppresso sistematicamente quanto loro. Credo che sia giunto il momento di dire che Dio si è sbagliato, che Maometto si è sbagliato nel dichiarare le donne sottomesse, ma quando lo dico mi accusano di blasfemia. Invece è Dio che è stato blasfemo contro di me, contro il mio corpo, contro il mio intelletto, contro la mia sessualità. Nell’Islam è solo attraverso la blasfemia che si ottiene qualcosa».


È un’affermazione molto forte. In una polemica che ha attraversato, l’anno scorso, Europa e America, lei è stata accusata di essere una radicale, un’estremista dell’illuminismo (che, tra parentesi, è una contraddizione). Anni prima era stata sì un’estremista, ma dell’islamismo. Pensava che gli ebrei andassero eliminati, pensava che la fatwa contro Salman Rushdie fosse giusta. La Ayaan di allora avrebbe forse approvato le minacce di morte contro la Ayaan di oggi. Perché questo cambiamento?
«Quando nel 1992 sono arrivata in Olanda ero convinta di essere un’eletta, di appartenere alla religione migliore, al clan migliore. Ma lì, in quel piccolo paese, la vita quotidiana era molto più semplice, pulita, sicura, sana, ricca. Fra tutti i musulmani che ho conosciuto nel centro di accoglienza, serpeggiava la stessa domanda: perché qui vivono meglio, se noi siamo gli eletti di Allah? Per soddisfare questa curiosità, mi sono iscritta a Scienze politiche. Studiavamo la storia delle società occidentali, la storia politica olandese. Cioè la comprensione dei conflitti umani e delle idee che hanno plasmato l’Europa e l’Olanda fino a trasformarle nel luogo pacifico dove ora vivevo. Poi ho letto Platone, ovvero ho scoperto il pensiero, nell’antica Grecia, intorno ai temi della politica e del conflitto. Che si potesse pensare, già solo questo per me era sbalorditivo, eccitante! Da dove venivo io, potevi solo obbedire, fare quello che imponevano gli antenati, fare quello che impone Maometto. Lì non pensi autonomamente, non cambi, non innovi».


Forse lei ha una nuova fede, nell’illuminismo? Nel suo prossimo libro, Se Dio non vuole, che uscirà in Italia sempre da Rizzoli prima dell’estate, fa incontrare nella Biblioteca di New York il profeta Maometto e tre filosofi occidentali.
«L’illuminismo è il migliore movimento nella storia dell’umanità. Vorrei che fosse insegnato a tutti, perché riguarda tutti. Si basa sul presupposto che ogni essere umano, indipendentemente da dove è nato, abbia facoltà di ragionare. Ed è attraverso l’istruzione, le informazioni, la scienza, che il progresso dell’umanità e dei singoli individui è possibile. Molti autori illuministi non sono d’accordo l’uno con l’altro. Proprio questa è una delle caratteristiche più importanti dell’illuminismo: è possibile non essere d’accordo, è possibile avere idee diverse, senza rischiare di essere decapitati. Adesso sto leggendo tre filosofi contemporanei, Hayek, Mill e Popper, perché nel mio nuovo libro li faccio appunto dialogare con Maometto».


Però un elemento dell’illuminismo è il relativismo: pensare che non esista una sola Verità con la V maiuscola. E anche il multiculturalismo, che lei detesta, si basa appunto sull’accettazione della diversità.
«Certo, la verità è relativa. Non esiste la verità assoluta, con la V maiuscola. Non esiste un solo libro. Ma quello che i relativisti etici dicono è che tutte le culture e tutte le religioni sono uguali, o ugualmente valide. Questo è falso. Se una cultura protegge e dichiara sacra la vita, creando una serie di istituzioni per difenderla e concedendo all’individuo la possibilità di cercare la felicità, quella cultura è superiore ad altre che lo rendono schiavo della comunità o della divinità. Il multiculturalismo è una brutta cosa e gli europei stanno cominciando ad accorgersene. È nato per accogliere le minoranze, in modo che potessero conservare la loro religione e la loro cultura. Ma è diventato un alibi per giustificare, all’interno di quelle minoranze, l’oppressione dei deboli».


L’intervista completa di Giovanna Zucconi è consultabile sul sito de La Stampa


Fonte: uaar.it

Ferrara: l’ateo che esorta l’Italia ad essere religiosa, visto dalla stampa estera

Nelle elezioni italiane della prossima settimana, il carismatico milionario di centro-destra Silvio Berlusconi potrebbe risorgere ancora una volta dalle sue ceneri, questa volta per sconfiggere Walter Veltroni, un baby boomer amante del rock che si è appena dimesso da sindaco di Roma. Sarà il terzo incarico di Berlusconi come primo ministro, o il primo di Veltroni.
Ma queste non sono le personalità che coinvolgono di più. Sono i soliti sospetti in uno scenario politico quasi incomprensibile per gli stranieri, dove gli stessi politici entrano ed escono, promettendo riforme e portando invece stasi se non declino.
Un candidato di nicchia è diverso.
E’ Giuliano Ferrara, un comunista che è diventato conservatore, il più lirico e vivace provocatore intellettuale in Italia. Un redattore di giornale e ex ministro di governo, Ferrara è meglio conosciuto qui come un conduttore di talk show televisivi. Combina la teatralità politica di un Abbie Hoffman con lo stile retorico di un William F. Buckley.
La vita politica italiana è sempre stata assurda, ma i recenti gesti teatrali di Ferrara vanno più nel profondo. E’ un barometro culturale, ben sintonizzato rispetto alla disperazione dell’umore nazionale. Rispetto alla realpolitik dei candidati ordinari, Ferrara, con la sua insistenza sulle idee, tocca di più le ansietà italiane sul futuro dell’Europa, sulla perdita delle identità nazionali, la crescita dell’immiagrazione, il declino della fede cristiana.
Nella sua ultima reincarnazione, Ferrara è candidato in Parlamento con una piccola lista rivolta ad un’unica questione: “pro-life”, che definisce indipendente. Un ateo e non credente dichiarato, ha invocato una “moratoria”, ma non una messa al bando, sull’aborto, per richiamare l’attenzione sul valore della vita.
“Mi piacerebbe vincere, sarebbe straordinario”, ha affermato in una recente intervista qui a Roma. “Ma non è la questione centrale. Sono un uomo in cerca di idee, non di voti. Ha importanza solo questo.”
La campagna di Ferrara è quasi certo che fallisca alle urne, ma i suoi comizi hanno fatto scaturire del sostegno - e alcune proteste. A Bologna, la settimana scorsa, giovani manifestanti gli hanno lanciato pomodori, mentre la polizia in tenuta antisommossa respingeva le folle. Ancora, Ferrara ha contribuito a porre sul tavolo questioni sociali - con molto fastidio dei favoriti, i quali temono che possa polarizzare l’elettorato. Berlusconi, da parte sua, si è rifiutato di includere la lista di Ferrara nella sua coalizione di centro-destra.
Ferrara, un giocatore di lungo corso nella tragicomedia politica italiana, era fino a poco tempo fa il conduttore di un talk show in prima serata, chiamato “Otto e Mezzo”. Ha lasciato l’incarico per la campagna elettorale, ma rimane redattore capo de “Il Foglio”, il giornale molesto che ha fondato nel 1996, con un capitale d’avviamento fornito da Berlusconi.
Il giornale tiene una linea eclettica rara in Italia, insieme neo-con, teo-con e per le libertà civili [?]; è a favore degli Usa, di Israele, della guerra in Iraq, favorevole a limitare i poteri dei giudici e vicino al Vaticano. Ma ha una inclinazione a scioccare; una volta ha stampato a piena pagina una fotografia omoerotica di Robert Mapplethorpe.
Ferrara, 56 anni, ha discusso della sua evoluzione e della sua campagna nella sua casa a Roma. Era venerdì santo, e stava piovendo; fuori dalla finestra, il Tevere scorreva di un colore verde giada. Un grosso uomo con una folta barba rossa e occhi blu chiari, Ferrara potrebbe somigliare al quarto tenore. Normalmente acceso, è però febbricitante e visibilmente stanco. Seduto in una poltrona imbottita di pelle, accende la prima di tante sigarette. “Concorrere per una carica non mi interessa per niente”, ha detto. “E’ un grosso stress”. Le idee sono un’altra faccenda.
Nato in una famiglia di comunisti di classe medio-alta, Ferrara ha passato parte della sua infanzia a Mosca, dove suo padre era corrispondente per il giornale comunista L’Unità. Verso i vent’anni, era capo organizzatore per il Partito Comunista Italiano presso la sede centrale della Fiat a Torino, quando le relazioni di lavoro erano tese e le Brigate Rosse sconvolgevano il paese. Ma Ferrara emerse tra i comunisti della linea dura, e nel 1982 lasciò il partito, diventando il suo più vociante “apostata”. Crebbe condizionato dal filosofo politico Leo Strauss, che scrisse delle tensioni tra Atene e Gerusalemme, tra ragione e fede.
Quindi venne il socialismo. Verso la metà degli anni Ottanta, Ferrara divenne consigliere del leader socialista Bettino Craxi, che credeva potesse portare avanti in maniera seria delle riforme in stile “terza via”. Ma agli inizi degli anni Novanta, Craxi venne spodestato da un pesante scandalo di corruzione. Il collasso del vecchio regime aprì la strada a Berlusconi, l’uomo più ricco del paese, per entrare in politica. Ferrara divenne un fidato consigliere di Berlusconi nel nascente partito di Forza Italia e, nel 1994, portavoce e ministro nel primo breve governo Berlusconi.
Nel 2003 Ferrara causò aspri dibattiti scrivendo su Il Foglio che verso la metà degli anni Ottanta era stato un informatore pagato dalla CIA il cui compito era spiegare la politica italiana all’agenza americana. (Un portavoce della CIA ha detto che l’agenzia “come regola, non risponde pubblicamente a questo tipo di dichiarazioni”.)
Questa traiettoria politica poteva essere possibile solo in Italia, dove i confini tra politica e giornalismo, idee e atteggiamento, apparenza e realtà, sono labili. Per i suoi estimatori, Ferrara ha ammirevolmente applicato su di sè dei cambiamenti che il suo paese è stato incapace di fare; plaudono a lui per il suo tentativo di introdurre le idee in un regno machiavellico di pura politica. Per i suoi critici, è un opportunista, un consigliere [in italiano nel testo, nel senso machiavellico di servile e approfittatore, n.d.t.], in cerca di un nuovo principe, un misogino ficcanaso che prova a togliere voti cattolici alla sinistra.
“Sembra un flip-flop, sembra una inclinazione ad avere un’avventura”, ha detto Ferrara della sua traiettoria. “E invece è integrità. Sono una persona tremendamente noiosa. Le mie idee sono sostanzialmente le stesse, dalla mia educazione come giovane comunista alla mia vecchiaia da ratzingeriano”, ha detto riferendosi a papa Benedetto XVI, l’ex cardinale Joseph Ratzinger. La sostanza, ha detto, è la stessa: “Odio l’ipocrisia, odio il medacio.” Cita Churchill: “Preferirei essere nel giusto che coerente.”
Ad ogni modo, però, la campagna pro-life di Ferrara sembra sconcertante. Con tutti i problemi che l’Italia sta affrontando - un’economia stagnante, l’aumento del costo della vita, il crimine organizzato - l’aborto e la ricerca sugli embrioni dovrebbe essere l’ultimo dei suoi problemi. Ancora una volta, una breve panoramica sui maggiori candidati può spiegare l’impulso per le pose teatrali radicali, se non forse proprio le stesse idee di Ferrara.


[…]


Da questo punto di vista, la campagna di Ferrara sembra un grido per la vita in un paese che scivola verso la morte e il declino. Ancora, la campagna può essere surreale. Quando un ispettore di sanità ha scoperto che un aborto […] è stato attuato su un feto con la sindrome di Klinefelter, i cui sintomi includono testicoli atrofizzati e grandi seni, Ferrara ha detto che non c’erano basi per l’aborto. Ha detto, inoltre, che poteva aveva questa sindrome - e che se qualcuno dubitava poteva dare un’occhiata. Ma Ferrara non è un crociato pro-life credibile; ha ammesso che verso i vent’anni, tre delle sue compagne hanno compiuto aborti.
Infatti, nessuno sembra capire esattamente a che cosa punti Ferrara. Comincia la sua strana crociata proprio quando “Otto e Mezzo” gli ha dato una credibilità intellettuale a livello nazionale, anche a sinistra. La campagna causa perplessità anche tra gli amici stretti, come l’opinionista ed ex radicale di sinistra Adriano Sofri, che ha scritto un libro, “Contro Giuliano”, rimproverandolo.
Una domanda ovvia è se Ferrara si stia orientando verso la Chiesa come se questa fosse l’ultima migliore speranza per la politica e le idee. Nega ciò. “Non sto chiedendo il loro supporto, in nessun modo”, ha detto. “Certo, è anche vero che non lo ho”. Infatti, tre pubblicazioni cattoliche di punta hanno criticato la campagna di Ferrara, dicendo che materie di fede dovrebbero rimanere private. Ma in una visita recente in una chiesa, nelle vicinanze della casa di Ferrara, a Roma, papa Benedetto XVI gli ha stretto la mano. Ferrara ha detto in una intervista che ha una “relazione” con la Chiesa, ma non legami politici.
Molti italiani hanno notato una rimonta del conservatorismo religioso dalla elezione di papa Benedetto XVI nel 2005. Quell’anno, il governo Berlusconi ha fatto passare una legge restrittiva in materia di inseminazione artificiale, e i giornali cattolici hanno con successo spinto gli italiani a respingere un referendum per rendere di nuovo più accessibili tali pratiche. Lo scrittore inglese e esperto di questioni italiane Tim Parks, nel “New Statesman” del 2006, ha osservato che “il cambiamento cruciale” nella vita italiana dal 2001 è stato “il collasso di ogni grande idea politica”, mentre i politici di tutti gli schieramenti “hanno entusiasticamente dichiarato le loro credenziali cristiane”.
Da parte sua, Ferrara dice che è rimasto ateo. “Non mi sono convertito al cattolicesimo”, ha detto. “Sono ancora un non credente, anche se la mia idea di ragione è l’idea di una ragione che è aperta al mistero.” Quali siano le sue motivazioni, la sua nuova crociata dice molto sia sul vuoto di potere in Italia, sia sul potere. Dopo tutto, come il critico Nicola Chiaromonte ha osservato verso la fine degli anni Quaranta, “in Italia, la Chiesa offre non tanto paradiso, quando protezione di fronte al diretto impatto della storia”


L’articolo completo in inglese di Rachel Donadio è consultabile sul sito del New York Times

Fonte: uaar.it

Francia: i cattolici cercano di introdurre creazionismo e omofobia nei licei

La Francia è il nuovo terreno di conquista! Se i cattolici premono sul Disegno Intelligente, anche noi dobbiamo lanciarci per introdurre il Disegno Idiota!

Fonte: rue89.com via uaar.it

venerdì 4 aprile 2008

Pd o Dc? Binetti e Del Vecchio anti gay

Il partito che vuol apparire come l'arternativa laica al centro/centro-destra apertamente leccapapa ha due esponenti di spicco: la Binetti cilicio-girl, che dichiara che non voterà a favore di leggi sulle coppie omo, e il generale noi-nell'esercito-ce-l'abbiamo-duro Del Vecchio, che dichiara che i gay sono inadatti alla vita militare, e dovrebbero essere occupati nei servizi.

Cos'è che meraviglia? Che ci sia gente che si stupisce per queste dichiarazioni, che si possa pensare che il Pd sia un partito laico. Ma sta gente della Binetti non aveva mai sentito parlare? Mah...

Articoli sul corriere

Otto per mille, una scelta informata

giovedì 3 aprile 2008

La poligamia nascosta tra gli islamici d’Italia

BRESCIA - Per Baba Kar è la cosa più naturale del mondo: “Ho due mogli. E vivo con loro in Italia. Lo so che qui è proibito dalla legge, ma questo riguarda voi italiani, non noi: io sono musulmano e il Corano dice che posso avere fino a quattro mogli. Seguo la mia religione. Del resto con lo Stato italiano non ho mai avuto nessun problema”. Senegalese, 33 anni, in Italia da 9, da 7 ben radicato a Brescia, il signor Kar è la punta di un iceberg dalle dimensioni misteriose, quello dei poligami italiani. Musulmani - immigrati, ma anche italiani convertiti - che usufruiscono della possibilità, prevista dal Corano, per un uomo di avere fino a quattro spose.


In assenza di statistiche, qualcuno parla di poche centinaia di casi, altri di decine di migliaia: cifre non confermate né confermabili. Quel che è certo però, è che il fenomeno esiste e che negli ultimi anni è aumentato, proporzionalmente all’aumento del numero degli immigrati musulmani che hanno scelto di risiedere nel nostro paese: oggi, secondo la Caritas, sono poco più di 1.200.000 i musulmani che vivono in Italia.




Fonte: repubblica.it via uaar.it

Il prete che guariva come Vanna Marchi

Come Wanna Marchi, come il «mago» brasiliano Mario Pacheco Do Nascimento, e come le migliaia di persone che ogni giorno vendono amuleti contro il malocchio, filtri d’amore e i numeri giusti per sbancare il Lotto, un prete fiorentino è accusato dalla Procura di associazione a delinquere finalizzata alla truffa. E che truffa. Quasi uno spettacolo. Andato in replica decine e decine di volte per otto anni, dal 2000 al 2008. Ogni volta, il sacerdote radunava un po’ di gente, due preghiere e un qualche alleluja per fare un po’ d’atmosfera, poi ecco spuntare il complice, naturalmente in preda al demonio. Un bel problema ma non per don Francesco Saverio Bazzoffi, 60 anni, dal 1991 leader carismatico della Casa Santi Arcangeli, ufficialmente luogo di incontri e benedizioni a Barberino del Mugello. Imposizioni delle mani, canti, profumo d’incenso, ancora preghiere, e l’«indemoniato» era salvo.


Peccato che tra il pubblico don Francesco individuasse sempre una o due persone - meglio se malate o afflitte da qualche problema esistenziale - su cui esercitare la sua arte di esorcista. Solito rito, nuovo spettacolo, e un sacco di soldi: 4 milioni di euro è la cifra transitata dai conti personali di don Bazzoffi alla cassa della onlus «I cinque piani» di Prato, i cui responsabili si sono dimessi da ogni carica. Oltre agli esorcismi, a gonfiare il portafogli del sacerdote c’era anche la somministrazione di «sale e acqua benedetti», oltre alle offerte cospicue dei fedeli raggirati.


Adesso, con tutto il rispetto, ma quale sarebbe la differenza sostanziale tra un sacerdote e un “mago”, oltre al grado di accettazione e rispettabilità sociale?


Fonte: La stampa via uaar.it

mercoledì 2 aprile 2008

Turchia, i giudici mettono sotto processo il partito di Erdogan

Lo scontro fra i valori della laicità voluti e imposti da Ataturk e la rinascente anima islamica della Turchia diventa da oggi istituzionale. La magistratura, che di questi valori laici è, insieme ai militari custode talvolta spietato, ha scelto, attraverso la Corte Costituzionale, di dare il via libera al processo contro l’Akp, il partito islamico moderato del premier Recep Tayip Erdogan e del presidente Abudllah Gul.
Gli undici giudici della Corte hanno accolto all’unanimità il ricorso presentato dal procuratore generale della Cassazione, Abdurrahman Yalcinkaya, che ha chiesto di sciogliere «per attività contrarie alla natura secolare dello Stato» l’Akp (Partito della Giustizia e dello Sviluppo). Secondo il procuratore il partito governativo è diventato «un covo di attività che vanno contro la laicità dello stato». Non solo. L’alto magistrato vuole che i supremi magistrati mettano al bando per cinque anni 71 esponenti dell’Akp, tra cui lo stesso Erdogan e Gul, destituendoli dalle rispettive cariche.

Fonte: La Stampa via uaar.it