martedì 8 aprile 2008

Ferrara: l’ateo che esorta l’Italia ad essere religiosa, visto dalla stampa estera

Nelle elezioni italiane della prossima settimana, il carismatico milionario di centro-destra Silvio Berlusconi potrebbe risorgere ancora una volta dalle sue ceneri, questa volta per sconfiggere Walter Veltroni, un baby boomer amante del rock che si è appena dimesso da sindaco di Roma. Sarà il terzo incarico di Berlusconi come primo ministro, o il primo di Veltroni.
Ma queste non sono le personalità che coinvolgono di più. Sono i soliti sospetti in uno scenario politico quasi incomprensibile per gli stranieri, dove gli stessi politici entrano ed escono, promettendo riforme e portando invece stasi se non declino.
Un candidato di nicchia è diverso.
E’ Giuliano Ferrara, un comunista che è diventato conservatore, il più lirico e vivace provocatore intellettuale in Italia. Un redattore di giornale e ex ministro di governo, Ferrara è meglio conosciuto qui come un conduttore di talk show televisivi. Combina la teatralità politica di un Abbie Hoffman con lo stile retorico di un William F. Buckley.
La vita politica italiana è sempre stata assurda, ma i recenti gesti teatrali di Ferrara vanno più nel profondo. E’ un barometro culturale, ben sintonizzato rispetto alla disperazione dell’umore nazionale. Rispetto alla realpolitik dei candidati ordinari, Ferrara, con la sua insistenza sulle idee, tocca di più le ansietà italiane sul futuro dell’Europa, sulla perdita delle identità nazionali, la crescita dell’immiagrazione, il declino della fede cristiana.
Nella sua ultima reincarnazione, Ferrara è candidato in Parlamento con una piccola lista rivolta ad un’unica questione: “pro-life”, che definisce indipendente. Un ateo e non credente dichiarato, ha invocato una “moratoria”, ma non una messa al bando, sull’aborto, per richiamare l’attenzione sul valore della vita.
“Mi piacerebbe vincere, sarebbe straordinario”, ha affermato in una recente intervista qui a Roma. “Ma non è la questione centrale. Sono un uomo in cerca di idee, non di voti. Ha importanza solo questo.”
La campagna di Ferrara è quasi certo che fallisca alle urne, ma i suoi comizi hanno fatto scaturire del sostegno - e alcune proteste. A Bologna, la settimana scorsa, giovani manifestanti gli hanno lanciato pomodori, mentre la polizia in tenuta antisommossa respingeva le folle. Ancora, Ferrara ha contribuito a porre sul tavolo questioni sociali - con molto fastidio dei favoriti, i quali temono che possa polarizzare l’elettorato. Berlusconi, da parte sua, si è rifiutato di includere la lista di Ferrara nella sua coalizione di centro-destra.
Ferrara, un giocatore di lungo corso nella tragicomedia politica italiana, era fino a poco tempo fa il conduttore di un talk show in prima serata, chiamato “Otto e Mezzo”. Ha lasciato l’incarico per la campagna elettorale, ma rimane redattore capo de “Il Foglio”, il giornale molesto che ha fondato nel 1996, con un capitale d’avviamento fornito da Berlusconi.
Il giornale tiene una linea eclettica rara in Italia, insieme neo-con, teo-con e per le libertà civili [?]; è a favore degli Usa, di Israele, della guerra in Iraq, favorevole a limitare i poteri dei giudici e vicino al Vaticano. Ma ha una inclinazione a scioccare; una volta ha stampato a piena pagina una fotografia omoerotica di Robert Mapplethorpe.
Ferrara, 56 anni, ha discusso della sua evoluzione e della sua campagna nella sua casa a Roma. Era venerdì santo, e stava piovendo; fuori dalla finestra, il Tevere scorreva di un colore verde giada. Un grosso uomo con una folta barba rossa e occhi blu chiari, Ferrara potrebbe somigliare al quarto tenore. Normalmente acceso, è però febbricitante e visibilmente stanco. Seduto in una poltrona imbottita di pelle, accende la prima di tante sigarette. “Concorrere per una carica non mi interessa per niente”, ha detto. “E’ un grosso stress”. Le idee sono un’altra faccenda.
Nato in una famiglia di comunisti di classe medio-alta, Ferrara ha passato parte della sua infanzia a Mosca, dove suo padre era corrispondente per il giornale comunista L’Unità. Verso i vent’anni, era capo organizzatore per il Partito Comunista Italiano presso la sede centrale della Fiat a Torino, quando le relazioni di lavoro erano tese e le Brigate Rosse sconvolgevano il paese. Ma Ferrara emerse tra i comunisti della linea dura, e nel 1982 lasciò il partito, diventando il suo più vociante “apostata”. Crebbe condizionato dal filosofo politico Leo Strauss, che scrisse delle tensioni tra Atene e Gerusalemme, tra ragione e fede.
Quindi venne il socialismo. Verso la metà degli anni Ottanta, Ferrara divenne consigliere del leader socialista Bettino Craxi, che credeva potesse portare avanti in maniera seria delle riforme in stile “terza via”. Ma agli inizi degli anni Novanta, Craxi venne spodestato da un pesante scandalo di corruzione. Il collasso del vecchio regime aprì la strada a Berlusconi, l’uomo più ricco del paese, per entrare in politica. Ferrara divenne un fidato consigliere di Berlusconi nel nascente partito di Forza Italia e, nel 1994, portavoce e ministro nel primo breve governo Berlusconi.
Nel 2003 Ferrara causò aspri dibattiti scrivendo su Il Foglio che verso la metà degli anni Ottanta era stato un informatore pagato dalla CIA il cui compito era spiegare la politica italiana all’agenza americana. (Un portavoce della CIA ha detto che l’agenzia “come regola, non risponde pubblicamente a questo tipo di dichiarazioni”.)
Questa traiettoria politica poteva essere possibile solo in Italia, dove i confini tra politica e giornalismo, idee e atteggiamento, apparenza e realtà, sono labili. Per i suoi estimatori, Ferrara ha ammirevolmente applicato su di sè dei cambiamenti che il suo paese è stato incapace di fare; plaudono a lui per il suo tentativo di introdurre le idee in un regno machiavellico di pura politica. Per i suoi critici, è un opportunista, un consigliere [in italiano nel testo, nel senso machiavellico di servile e approfittatore, n.d.t.], in cerca di un nuovo principe, un misogino ficcanaso che prova a togliere voti cattolici alla sinistra.
“Sembra un flip-flop, sembra una inclinazione ad avere un’avventura”, ha detto Ferrara della sua traiettoria. “E invece è integrità. Sono una persona tremendamente noiosa. Le mie idee sono sostanzialmente le stesse, dalla mia educazione come giovane comunista alla mia vecchiaia da ratzingeriano”, ha detto riferendosi a papa Benedetto XVI, l’ex cardinale Joseph Ratzinger. La sostanza, ha detto, è la stessa: “Odio l’ipocrisia, odio il medacio.” Cita Churchill: “Preferirei essere nel giusto che coerente.”
Ad ogni modo, però, la campagna pro-life di Ferrara sembra sconcertante. Con tutti i problemi che l’Italia sta affrontando - un’economia stagnante, l’aumento del costo della vita, il crimine organizzato - l’aborto e la ricerca sugli embrioni dovrebbe essere l’ultimo dei suoi problemi. Ancora una volta, una breve panoramica sui maggiori candidati può spiegare l’impulso per le pose teatrali radicali, se non forse proprio le stesse idee di Ferrara.


[…]


Da questo punto di vista, la campagna di Ferrara sembra un grido per la vita in un paese che scivola verso la morte e il declino. Ancora, la campagna può essere surreale. Quando un ispettore di sanità ha scoperto che un aborto […] è stato attuato su un feto con la sindrome di Klinefelter, i cui sintomi includono testicoli atrofizzati e grandi seni, Ferrara ha detto che non c’erano basi per l’aborto. Ha detto, inoltre, che poteva aveva questa sindrome - e che se qualcuno dubitava poteva dare un’occhiata. Ma Ferrara non è un crociato pro-life credibile; ha ammesso che verso i vent’anni, tre delle sue compagne hanno compiuto aborti.
Infatti, nessuno sembra capire esattamente a che cosa punti Ferrara. Comincia la sua strana crociata proprio quando “Otto e Mezzo” gli ha dato una credibilità intellettuale a livello nazionale, anche a sinistra. La campagna causa perplessità anche tra gli amici stretti, come l’opinionista ed ex radicale di sinistra Adriano Sofri, che ha scritto un libro, “Contro Giuliano”, rimproverandolo.
Una domanda ovvia è se Ferrara si stia orientando verso la Chiesa come se questa fosse l’ultima migliore speranza per la politica e le idee. Nega ciò. “Non sto chiedendo il loro supporto, in nessun modo”, ha detto. “Certo, è anche vero che non lo ho”. Infatti, tre pubblicazioni cattoliche di punta hanno criticato la campagna di Ferrara, dicendo che materie di fede dovrebbero rimanere private. Ma in una visita recente in una chiesa, nelle vicinanze della casa di Ferrara, a Roma, papa Benedetto XVI gli ha stretto la mano. Ferrara ha detto in una intervista che ha una “relazione” con la Chiesa, ma non legami politici.
Molti italiani hanno notato una rimonta del conservatorismo religioso dalla elezione di papa Benedetto XVI nel 2005. Quell’anno, il governo Berlusconi ha fatto passare una legge restrittiva in materia di inseminazione artificiale, e i giornali cattolici hanno con successo spinto gli italiani a respingere un referendum per rendere di nuovo più accessibili tali pratiche. Lo scrittore inglese e esperto di questioni italiane Tim Parks, nel “New Statesman” del 2006, ha osservato che “il cambiamento cruciale” nella vita italiana dal 2001 è stato “il collasso di ogni grande idea politica”, mentre i politici di tutti gli schieramenti “hanno entusiasticamente dichiarato le loro credenziali cristiane”.
Da parte sua, Ferrara dice che è rimasto ateo. “Non mi sono convertito al cattolicesimo”, ha detto. “Sono ancora un non credente, anche se la mia idea di ragione è l’idea di una ragione che è aperta al mistero.” Quali siano le sue motivazioni, la sua nuova crociata dice molto sia sul vuoto di potere in Italia, sia sul potere. Dopo tutto, come il critico Nicola Chiaromonte ha osservato verso la fine degli anni Quaranta, “in Italia, la Chiesa offre non tanto paradiso, quando protezione di fronte al diretto impatto della storia”


L’articolo completo in inglese di Rachel Donadio è consultabile sul sito del New York Times

Fonte: uaar.it

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