S. è tornata a casa e ha radunato i suoi bambini per un gioco: “Saltatemi sulla pancia”. Cinque figli fuori, uno dentro. Quello che non vuole perché è arrivato troppo presto, perché la famiglia già così non ce la fa. S. ha deciso da sola, quando si è scoperta di nuovo incinta, “11-12 settimane” le ha comunicato il dottore.
Non ha potuto parlarne con il marito, con la madre o una sorella, non ha potuto parlarne con nessuno. Ha preso la decisione da sola e da sola ci ha provato. Si è buttata da un muretto cadendo sul ventre, ci ha messo sopra una bombola del gas. Ha cominciato a sanguinare, è stata ricoverata, ha perso il bambino.
“L’ aborto tra i palestinesi è un tabù religioso e un crimine, viene permesso solo se la donna è in pericolo di vita. Eppure succede ogni giorno, spiegano le volontarie di un centro a Ramallah . Illegali, rischiosi, dannosi per la salute”. Costosi. Un medico può chiedere 5.000 shekel (quasi 900 euro), nel prezzo c’è l’incognita del carcere. “Se la donna non è sposata, la richiesta sale. E¹ ricattabile, deve mantenere il segreto”.
A. ha pagato 400 dollari. Quattro anni fa è rimasta incinta di un uomo che non era suo marito e a Gaza può essere una condanna a morte. “Ero terrorizzata che i miei fratelli lo scoprissero e mi ammazzassero”, racconta. “Ho chiesto al ragazzo di cercare un dottore, è stato quasi impossibile trovare qualcuno che accettasse”. Nella Striscia, il mercato è ancora più sotterraneo. I medici negano che gli aborti clandestini vengano praticati. “Se ne parlo, quelli di Hamas mi uccidono”, dice un ginecologo. “Fino al 2005 spiega un altro era più semplice eseguire queste operazioni. Dopo che Hamas ha preso il controllo, i miliziani hanno dato la caccia ai dottori, sapevano chi era pronto a farsi pagare”. Ancora oggi nessuno ha scoperto dell¹aborto di A., ancora oggi, lei ha paura che qualcuno lo scopra.
Il 40% su 333 donne intervistate nei campi rifugiati in Cisgiordania ha ammesso di avere abortito almeno una volta, il 54,4% secondo l’indagine della Palestinian Family Planning and Protection Association è venuta a sapere di altre che l’hanno fatto. “E’ un fenomeno nascosto, commenta il sociologo Barnard Sabila, che sta crescendo. I palestinesi se ne rendono conto, non ne vogliono parlare”. La Palestinian Family Planning Association è riuscita a ottenere dal muftì di Betlemme una fatwa che permetta la pillola del giorno dopo, ancora controversa per molti religiosi musulmani. “Nella nostra società, continua Sabila, la donna regge l’onore della famiglia, non l’uomo. Se una figlia perde la verginità o resta incinta senza un marito, la madre viene considerata responsabile quanto lei”.
Maha Abu Dayyeh-Shamas sorride quando le chiedono se la sua organizzazione è pro-scelta. “Non mi posso permettere il dibattito ideologico. I casi che affrontiamo non sono una questione di diritto a decidere. E’ una questione di vita e di morte. Della donna. Un aborto illegale può metterla in pericolo, continuare la gravidanza anche. Chi cerca il nostro aiuto rischia di venire uccisa dai parenti, per cancellare l’onta di una relazione fuori dal matrimonio”.
Gli uffici del Women’s Centre a Ramallah fanno da consultorio, offrono assistenza medica e legale. Qui nessuno suggerisce di abortire o spinge per la decisione, una denuncia porterebbe all’incriminazione. Le donne vengono messe in guardia contro le pratiche illegali, ricevono informazioni sulla contraccezione e la pianificazione familiare, consentite dalla legge islamica. “Le ricche possono sempre trovare una soluzione e andarsene in Libano, come fanno nella maggior parte dei Paesi arabi”, spiega Maha.
Le altre provano in un ospedale israeliano, dove l’interruzione è consentita e spesso gratuita. Uno dei 41 comitati nel Paese decide se il caso rientri tra quelli previsti da una legge del 1977. “Quando la gravidanza è il risultato di violenza, di un incesto o c’è il pericolo di un delitto d’onore, continua, il via libera viene dato sempre”. Il suo gruppo sta facendo pressioni sui deputati palestinesi perché modifichino la bozza di una norma preparata dal Parlamento. “Le pene previste per gli interventi clandestini sono fino a dieci anni. Però legalizza l’aborto dopo un incesto e noi vorremmo che contemplasse anche lo stupro”. Con una mano allontana dagli occhi il fumo del tè e lo sguardo triste: “Devo rassegnarmi all’idea di non poter salvare tutte le donne. Le vittime ci saranno”.
Fonte: uaar.it
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